Per la matematica c’è Team Umizoomi, per l’inglese Disney Magic English, per le abilità musicali e il problem solving Dora l’Esploratrice: il palinsesto TV pullula di cartoons con finalità educative esplicite. Ma tra le materie del piano di studi televisivo per bambini in età prescolare mancava la psicologia, e allora è arrivato al cinema con Inside Out un film che parla proprio di questo, con il ritmo e la genialità iconica di Disney Pixar.
Ecco allora le emozioni diventare personaggi che, tra un pasticcio e l’altro, proteggono la protagonista Rylie dai pericoli (Paura), la aiutano a trovare empatia (Tristezza), la salvano da possibili avvelenamenti (Disgusto), la fanno lottare contro le ingiustizie (Rabbia), fanno l’impossibile per compiere la missione di far felice Rylie (Gioia).
Gioia è la leader del gruppo delle emozioni, quella che sente la responsabilità maggiore verso Rylie e che lotta per difendere il primato del pensiero positivo, salvo poi rendersi conto sul finale che la sua “ombra”, Tristezza, può essere in alcuni casi più utile di lei (e meno male! altrimenti chi, come me, è ormai affezionata alla propria ineludibile vena tragica e introversa avrebbe trovato un po’ falsata e superficiale la felicità sempre e a tutti i costi).
Allo scenario il compito di illustrare le funzionali celebrali della memoria, dell’astrazione, del subconscio, dell’immaginazione, del pensiero, della personalità - sotto forma di trenini, biblioteche, scantinati, luna park, deserti neri, isole fluttuanti.
Ma cosa c’entra tutto questo con il Personal Storytelling?
C’entra, perché questo film porta un linguaggio nuovo nell’ambito biografico e autobiografico, che tende solitamente ad avere una vena malinconia, data per scontata dal senso comune quando si parla di passato, di ricordi, del “c’era una volta, la mia storia”.
Qui invece, al di là del fatto che l’aspetto divertente è dettato dalla natura di film di intrattenimento per bambini, c’è un atteggiamento diverso verso la memoria. I ricordi sono biglie di vetro contenenti le immagini dell’evento ricordato, che cambiano colore a seconda dell’emozione prevalente che li contraddistingue. Ci sono ricordi secondari e primari, ricordi del giorno e ricordi archiviati nella sterminata biblioteca della memoria a lungo termine, ricordi chiamati all’appello per rivivere nel centro di comando del cervello e ricordi caduti nel burrone dell’oblio, e persino ricordi-tormentone (per Rylie è la pubblicità di un dentifricio - e la capiamo bene, chi non ha in testa un motivetto assurdo che vorrebbe dimenticare senza riuscirci?).
Ma i ricordi non sono immutabili, al contrario possono cambiare la loro posizione nel cervello - la sinapsi attivata dal ricordo di un amico immaginario porta fuori dal buio il ricordo di un razzo magico usato nel gioco con lui - ma, soprattutto i ricordi possono trasformarsi, cambiando la loro tonalità emotiva.
Lo sapeva già oltre 100 anni fa Marcel Proust, rendendosi conto nello scrivere la sua Recherche du Temps Perdu di aver ricordato più belli e colorati certi episodi di quanto in realtà non fossero stati, perché aveva trasformato il suo passato in un’epica dell’amore e dei turbamenti del suo tempo.
Oggi l’intuizione di Proust è dimostrata scientificamente dalle neuroscienze, grazie ad esperimenti operati sulle cellule cerebrali delle rane e sui collegamenti sinaptici delle lumache di mare.
Agli autori di Inside Out non poteva certo sfuggire questo aspetto. Proprio qui si gioca infatti la diatriba tra Gioia e Tristezza, gelosa custode dei ricordi primari di Rylie la prima, irresistibilmente attratta dagli stessi elementi costituitivi della personalità la seconda, però costantemente allontanata dalla prima perché considerata dannosa per la felicità di Rylie.
Nel finale a sorpresa i ricordi primari, custoditi e difesi da Gioia nelle sue mille peripezie da incombenti cadute e dalla grinfie di Tristezza per tutta la durata del film, dovranno proprio passare da Tristezza perché Rylie possa comunicare il suo malessere ai genitori e ritrovare così la loro comprensione.