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Augurio ad una Quercia

Buon Anno a tutti voi, a tutti noi, e tutte quelle creature ignorate, segate, bruciate, ma talmente preziose da essere indispensabili al nostro respiro, che sono gli alberi.
Buon Anno alle foreste di tutto il mondo, che sia un anno senza tagli, senza fuochi, un anno di abbracci e di intrecci nel segreto delle radici. E che sia un anno di piedi gentili, che guardano dove poggiano, per non calpestare i fiori.
Per tutti voi un #videopoem ispirato all’Augurio ad una Quercia di Pier Luigi Bacchini.

“Quegli antichi fantasiosi giustamente
hanno visto nel ferro delle tue foglie
il virgulto guerriero,
la severità della forza.
(…)
E la fortuna ti preservi dalle mani brutali dell’uomo.
Che tu possa diventare una torre,
e che gli uccelli trovino un nido duraturo
come i falchi torraioli,
e che tu possa frondeggiare, anche carica di neve.
E nella tua longevità
Tu sia la sovrana di questa valletta.”

Pier Luigi Bacchini

#videopoetry #bacchini #quercia #storytelling #00am

tags: videopoetry, videopoem, storytelling
categories: Storytelling
Friday 01.10.20
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Davines Sustainable Beauty o La bellezza sostenibile di Davines

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Cosa si può immaginare di meglio, che trovarsi a parlare di bellezza? Anzi, a condividere come si "mette in pratica" la bellezza nel proprio lavoro? Si, quando si lavora nella cosmetica, nel design, nell'architettura, si ha l'incredibile privilegio di avere a che fare tutti i giorni con la bellezza, la qualità che più di ogni altra ci fa stare bene, perché - come diceva Platone - di tutte le grandi idee è l'unica, a differenza ad esempio della verità e della giustizia, ad essere visibile. Insomma, la bellezza si manifesta e ci raggiunge attraverso i sensi, dandoci benessere e piacere. Di bellezza, nella sua accezione sostenibile, si è parlato all'ultimo convegno dei Sustainable Salon Partners, il gruppo di affiliati italiani a Davines - gruppo-icona della cosmetica - che si è svolto lunedì 11 febbraio all'Auditorium Paganini di Parma, sala concerti risultata dal magistrale recupero di un ex-zuccherificio ad opera di Renzo Piano. Ho avuto l'onore di moderare una chiacchierata sul tema con la sociologa #Serena Sala, l'architetto #Germana De Michelis, lo stilista #Jesus Oliver Navarro e la fashion stylist #Elisabetta Cavatorta. Tante parole, tante idee, un unico concetto in estrema sintesi: bellezza è una parola dinamica, oggi più che mai. I rapidi grandi cambiamenti sociali che stiamo vivendo ci invitano a ricercare la bellezza nella sperimentazione, come laboratorio di ricerca, che apre alla natura, alla diversità, alla intergenerazionalità, al multiculturalismo. Non per trovare non una nuova definizione, ristretta in una serie di canoni, ma per plasmarci gli occhi e la mente all'apertura continua, a un mondo che sarà sempre meno coerente e sempre più "corrente". Oggi, insomma, cercare e mettere in pratica la bellezza è un grande esperimento di agilità, stupore, flessibilità e innovazione. Altro che parola frivola o superficiale. Mi viene in mente quella bellissima frase di AJ Muste "there's no way to peace, peace is the way". Oppure, a dirla con le parole di Marina Abramovich, "the process is more important than the result". Insomma cercare la bellezza oggi (per come la si intende quando si parla di bellezza sostenibile, cioè anche di etica) è già un rivoluzionario atto di bellezza.

Can you think of a better thing than finding yourself talking about beauty? Indeed, to share how to put beauty into practice in one's work? When you work in cosmetics, in design, in architecture, you have the incredible privilege of having to deal everyday with the search of beauty. Beauty is the quality that more than any other makes us feel good, because - as Plato used to say - of all great ideas beauty is the only one (unlike for example of truth and justice) that is visible. In short, beauty manifests itself and reaches us through the senses, giving us wellbeing and pleasure. We have been speaking of beauty, in its sustainable meaning, at the last conference of the Sustainable Salon Partners, the group of Italian affiliates of Davines - group-icon of cosmetics - which was held on Monday 11 February at the Paganini Auditorium in Parma, a concert hall resulted from the masterful recovery of a former sugar factory by Renzo Piano. I had the honor to moderate a talk on the topic with the sociologist #Serena Sala, the architect #Germana De Michelis, the hairdresser #Jesus Oliver Navarro and the fashion stylist #Elisabetta Cavatorta. So many words, so many ideas, a single concept in extreme synthesis: beauty is a dynamic word, today more than ever. The rapid major social changes we are experiencing invite us to seek beauty in experimentation, as a research laboratory, which opens up to nature, diversity, intergenerationality and multiculturalism. Not to find not a new definition, restricted to a series of canons, but to mold our eyes and mind to continuous openness, to a world that will be less and less coherent and increasingly "current". In short, today, putting beauty into practice is a great experiment in agility, amazement, flexibility and innovation. Other than frivolous or superficial word! I remember that beautiful phrase by AJ Muste "there's no way to peace, peace is the way". Or, to put it in the words of Marina Abramovich, "the process is more important than the result". In short, looking for beauty today (as we mean when it comes to sustainable beauty, that is also ethics) is already a revolutionary act of beauty.

tags: storytelling, beauty, I Sustain Beauty, Davines
Monday 02.18.19
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Scrivere è una questione di sguardo – conversazione con l’autore Marco Frigerio

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Il piacere di sentirsi un bambino che ascolta le storie raccontate dalla nonna,un piacere che si riaccende scrivendo e pregustando il piacere che, a propria volta, si darà ai lettori. Così, con spirito incantato (e incantevole), Marco Frigerio, chimico visionario, racconta storie poliedriche, che portano a viaggiare nel tempo e nello spazio, storie diversissime ma tutte accomunate da un alone di mistero, che le rende attraenti e inafferrabili. Qualche settimana fa, ho avuto il piacere di incontrarlo e di presentare presso Il Mondo Yoga Studio il suo libro “Oggi mi sento proprio bene”, edito da La Erudita. Ecco qua per voi, il resoconto di una conversazione, che fa capire quanto l’essere scrittori sia, più di tutto, una questione di sguardo.      

  • Sei uno scrittore poliedrico, i tuoi racconti spaziano da ambientazioni fantastiche ad ad altre storiche. Pensiamo al Medio Evo leggendario del racconto Il Frate o al futuro da fantascienza di L'esplorazione di Venere 603. Come nasce un tuo racconto? Quali sono le tue fonti di ricerca e ispirazione?

I miei racconti nascono dal piacere di “ascoltare” storie.

Storie come quelle che si raccontano gli amici a cena o al bar oppure le storie che raccontano le nonne ai nipotini.

E quindi dalla voglia di aggiungermi a questa narrazione verbale, che per essere una “buona” narrazione verbale deve essere scorrevole e fluida, caratteristiche che mi sforzo di perseguire nella mia scrittura.

Le fonti di ricerca e di ispirazione sono le più varie. Sicuramente lo sono le impressioni visive: come un paesaggio, un albero on un oggetto (una noce, una foglia). Ad esempio, il racconto “Mamarce Fleluske” nasce dall’ambra, questa resina fossile colorata come l’oro e che spesso racchiude tracce del passato: insetti, pezzetti di legno, piccoli sassi.

Il racconto “Il sonnambulo” nasce da alcune tavole di Tex, così come da impressioni lasciate da racconti di Calvino e Buzzati.

Oltre alle immagini, la Storia rappresenta una fonte inesauribile di inspirazione. Soprattutto la storia antica e preistorica, i cui reperti parlano di un uomo “maturo e moderno” fin dalla più lontana notte dei tempi. Ben prima degli egizi o dei sumeri, noi uomini di 40.000 anni fa riuscivamo a dipingere grotte fantastiche (Altamira, Lascaux), mostrando una sensibilità raffinata acconto a quella che, noi moderni crediamo, una vita selvaggia.

Le cose, in realtà, non mi sembrano molte cambiate negli ultimi 40.000 anni.

  • Ciò che rende grande uno scrittore non è una scuola di scrittura ma la capacità di visione, quello che Flanery O'Connor chiamerebbe sguardo anagogico, Massimo Recalcati differenza tra la realtà e reale, Carlo Rovelli una lezione di fisica e Novalis la missione di ri-creare la terra. Tante prospettive diverse per esprimere lo stesso concetto: esistono diversi livelli di realtà. La scrittura nasce dalla capacità di esercitare uno sguardo investigativo sulla realtà, capace di andare oltre, per cogliere diversi livelli di vita. Sei d'accordo?

Assolutamente sì, in particolare trovo che la definizione di Novalis: di ri-creare la terra, sia particolarmente centrata.

Quando leggiamo un romanzo o un racconto, entriamo veramente in un mondo nuovo, che l’autore ha creato per noi lettori, ma che il lettore a sua volta modifica con la sua esperienza e la sua storia personale, fatto che permette ad ognuno di noi di leggere in modo originale e personale il mondo propostoci dalla pagina scritta.  

  •  Il tuo libro è intriso di mistero, un mistero che irrompe nella normalità quotidiana, sconquassandola (Spaghetti alle vongole) e con sconfinamenti nel surreale (Le mani, Il sonnambulo). Come alleni questo sguardo anagogico?

Il mistero e il fantastico sono una modalità utilizzata da sempre in letteratura (penso a Omero o Kafka, passando per Ariosto e Shakespeare) per mostrare i diversi aspetti della realtà.

Come si allena lo sguardo anagogico e fantastico? Ascoltando le persone, camminando per le strade, uscendo di casa, leggendo giornali, libri fumetti e guardando le cose con uno “sguardo laterale”, obliquo rispetto a quanto di omologato ci viene proposto da tg, serie tv e chiacchere da bar (notate: chiacchere e non “fole”, che sono splendidi “racconti assurdi, iperbolici, improbabili, spudorati, sboroni e anagogici”).

  • Essere un chimico è un ostacolo o una risorsa del tuo essere scrittore?

E’ sicuramente una risorsa. Il chimico è per sua natura uno che modifica cose, combinando la materia conosciuta per creare una nuova materia.

Così lo scrittore combina le parole per creare, come dicevano prima, mondi nuovi.

Inoltre il chimico è “uno che cerca”. Cerca senza sapere cosa troverà alla fine del suo viaggio di ricerca.

Molti tra i miei racconti narrano storie di esplorazioni (Orso; Mamarce, Base antartica, Venere603), forse perché sia come scrittore che come chimico mi piace uscire dal seminato. Cercare cose nuove, alzarmi e uscire di casa per esplorare il mondo fuori.  

 

  • Perché scrivi?

Scrivo per il piacere di ascoltare storie. E scrivo perché è un’esigenza come respirare, mangiare e muoversi. Altri fanno sport, io scrivo.

 

  • Si dice che lo scrittore di romanzi sia un architetto disciplinato, mentre il poeta un mistico folgorato dall'ispirazione. Lo scrittore di racconti brevi è una via di mezzo tra i due o cosa?

Concordo almeno in parte. I romanzi e i racconti sono un tipo di scrittura tra loro molto simile. La poesia è tutta un’altra cosa.

Scrivere poesie è difficilissimo. La poesia dice le cose che non si possono dire. E la poesia è l’unico modo che abbiamo per esprimerle.

Penso a Ungaretti e Rimbaud o alla Szymborska o a Yeats e Pessoa.

 

Scrivere romanzi o racconti è “semplicemente” narrare cose, pensieri, storie. Sicuramente scrivere romanzi richiedono una capacità architettonica maggiore rispetto quella necessaria per i racconti.

Ma anche questi, romanzi e racconti, possono tranquillamente essere visionari e mistici: “I fratelli Karamazov”, “la Metamorfosi” “il maestro e Margherita” “Le città invisibili” “Le cosmicomiche”.

Io scrivo racconti semplicemente perché il tempo necessario per scriverli è minore o semplicemente più concentrato, e questo si combina meglio con la mia vita lavorativa di chimico (e privata).

 

  • Il Comitato di lettura del Premio Italo Calvino, nella lettera che ti ha scritto, parla di attesa, sospensione. "Dopo poche righe o dopo decine di pagine, la conclusione è sempre una non-conclusione: non uno scioglimento che spiega tutto, ma piuttosto la sollecitazione a modificare il nostro sguardo accettando uno stato di cose che rimane ineluttabilmente sospeso. Viene frustrata ogni nostra pretesa di ricorrere a criteri di logica. Questo ricorda la logica illogica dei racconti zen, forse anche l'idea di presenza nel respiro del qui ed ora che è alla base della pratica Yoga. Vorrei leggere le parole di Donatella Messina insegnante di Yoga e Presidente della LUA di cui faccio parte. "L’attesa non può focalizzarsi su un punto di arrivo, perché perderebbe sostanza. L’attendere quindi è un’attenzione fine a se stessa, cioè un’attesa senza scopo e senza fine. Invece nell’aspettare, aspettarsi, noi chiediamo qualcosa a qualcuno, o che qualcosa arrivi. Potremmo dire che la differenza si sostanzia proprio nella modalità in cui noi stiamo in quella pausa. Se l’aspettare accresce il desiderio che qualcosa o che qualcuno si evidenzi, l’attendere non cancella questo, ma lo sospende. E’ questo che rende questo spazio importante. In questa sospensione che è davvero un puro attendere e in cui noi non sappiamo che cosa possa arrivare, noi stiamo nello spazio dell’attesa senza aspettare che vi sia una risposta. E’ solo e soltanto un saper stare sapiente ed è semplicemente un vuoto prezioso perché ci consente di aprirci a qualcosa d’altro, che può essere un’intuizione, una rivelazione. Può essere semplicemente abitare il silenzio che è dentro di noi, e concedere alle persone che stanno con noi di fare altrettanto. L’attesa piega il tempo fino quasi a sospenderlo. Lo rende trasparente, impalpabile, quindi la lingua dell’attesa ha un alfabeto di annunci e attendere è decifrare questi annunci senza aspettare che arrivino. L’attesa genera pazienza, è una pratica, un atteggiamento, una postura. È una disposizione dell’animo. È spazio vuoto. Non si tratta di abitare una forma conosciuta, prestabilita, già sperimentata, di cui noi siamo consapevoli. L’attesa non è un luogo di certezze, ma un luogo da esplorare senza certezze."

Pensi che, in quest'ottica, la cifra peculiare del tuo Oggi sto proprio bene possa essere quindi un'attesa yogica?

E che quindi forse non sia un caso che il tuo libro proprio in un centro yoga?

Non avevo mai fatto questa considerazione, ma trovo che sia corretta.

I miei racconti hanno probabilmente un’anima yoga o zen. Così sono felicissimo di presentarli a Mondo YogaStudio.  

 

  • Leggere ci da la possibilità di vivere più vite. Scrivere ci da la possibilità di dar soddisfazione ai desideri più inconfessabili. ll tuo Mamarce, per esempio, è sessualmente molto attivo. Come vedi il rapporto tra letteratura e sessualità? Cosa ne pensi del successo del pornosoft, esemplificato da bestseller come "50 cinquanta sfumature di grigio"?

La sessualità fa parte della vita, come molte altre cose: l’amore, la tristezza, l’avventura.

Così la letteratura racconta anche la sessualità, come tutto il resto.

Non ho mai letto "50 cinquanta sfumature di grigio" e non penso di leggerlo.

Non mi interessano i generi stereotipati siano essi pornosoft, romanzi rosa o gialli.

Ad esempio, per il genere “giallo/thriller”, trovo che la famosa trilogia di Stieg Larsson, in quanto monotematica: tutta focalizzata sulla misoginia, sia decisamente monotona, mentre i racconti di Simenon con Maigret spaziando dallo psicologico al sociale e risultino belli, sebbene Simenon raggiunga il suo massimo espressivo nei romanzi e racconti senza Maigret (penso a “Cargo” o a la “La camera blu”)

   

  • Quanto c'è di autobiografico in quello che scrivi?

Se per autobiografico si intende “racconto/cronaca” della mia vita, la risposta è semplice: “non c’è nulla di autobiografico nei miei racconti”.

Non sono mai stato sui monti del Mackenzie (l’orso), né in Antartide (base albatros), né sono mai stato un frate (il frate) o un etrusco (Mamarce).

Lo stesso racconto “Oggi sto proprio bene” che narra l’ultimo giorno di mia madre Lina, è cronaca solo nella prima pagina (telefonata dell’ospedale) quello che viene raccontato dopo è pura invenzione, narrazione fantastica di quello che provavo.

In un senso più ampio tutta la narrazione è autobiografica, mia e di ogni altro autore. In quanto chiunque scrive, presenta i fatti attraverso un suo filtro personale che è la sua vita.

Quindi nei mie racconti nessuna cronaca autobiografica, ma tutto da me filtrato o vissuto.

 

  • Veniamo alla poesia. Alcune tue poesie sono state inserite in Enciclopedia della Poesia Contemporanea Vol. 4 2013 (Fondazione Mario Luzi Editore). Leggiamo una tua poesia. In che tipo di collegamento stanno queste due produzioni così diverse come genere e così lontane nel tempo?

La lontananza nel tempo è semplicemente dovuta alla mia passione di scrivere, che dura da decenni, combinata con la difficoltà di trovare un editore.

La diversità di genere (poesia e racconti) si può spiegare sia con la mia voglia di sperimentare, sia con la mia passione per la poesia, tenuta sotto controllo dalla difficoltà di scrivere poesie.

I temi trattati non sono molto diversi (amore, natura, mistero) declinati nelle modalità peculiari dei due generi.

tags: books, marco frigerio, presentazione, yoga, il mondo yoga studio, storytelling, personal storytelling, Elisa Barbieri
categories: Storytelling
Tuesday 01.30.18
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MARIA MONTESSORI The Educational Superwoman - Personal Storytelling Miniseries Episode #3

What do Larry Page and Sergey Brin (Google’s founders), Jimmi Wales (Wikipedia’s founder) and many other Silicon Valley successful CEOs have in common? They have all been educated at Montessori schools, with a 100-years-old pedagogical method. Isn’t it weird? What has Maria Montessori and her method to do with the future and with being first?

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Cos'hanno in comune Larry Page e Sergey Brin (fondatori di Google) con Jimmi Wales (fondatore di Wikipedia) e molti altri imprenditori di successo della Silicon Valley? Hanno tutti studiato in scuole Montessori, con un metodo vecchio di 100 anni. Non è strano? Che cosa c'entra allora aMaria Montessori ed il suo metodo con il futuro e con l'essere i primi al mondo?

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tags: mariamontessori, montessori, education, storytelling, Personal Storytelling
categories: Personal Storytelling
Tuesday 12.05.17
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L’era della narrazione, tra storytelling e post-verità

La bibliografia di matrice anglosassone ha sempre classificato la produzione letteraria in due macro categorie: fiction e non fiction. Una distinzione, quella tra racconti di fantasia e documentazione realistica, che non esiste in tutte le lingue e tantomeno nella lingua di quel popolo di poeti, che siamo (eravamo? dovremmo essere?) noi italiani.

Per una volta possiamo dire di essere stati più lungimiranti noi, perché il boom dello storytelling poggia proprio sul superamento di questa dicotomia. Oggi lo storytelling rappresenta, con il suo mix di dati di fatto e lavoro d'immaginazione, una nuova prospettiva di ricerca di senso, quel senso di cui abbiamo bisogno per riempire il vuoto lasciato dal crollo di religioni, ideologie e altri fenomeni di massa (eccetto il calcio). Non esente da rischi, certo, ed ecco allora la necessità di uno storytelling guidato dall’etica.

Esemplare la scena finale di The Hateful Eight di Tarantino, quando uno dei due sopravvissuti al massacro nel saloon legge all'altro una falsa lettera di ringraziamento di Lincoln. Il trattamento colore dell'immagine vira sul blu, rosso e bianco, i colori della bandiera americana. Come a dire: ecco cosa rimane di questo paese, una storia finta, che però serve a motivare, a dare significato, a orientare le azioni. Con questa provocazione apre The Narrative Age - Convegno Nazionale dell'Osservatorio Storytelling del 25.11 a Milano il filosofo Roberto Mordacci, che vede lo storytelling come conseguenza della riscoperta da parte dei giovani filosofi, della responsabilità della verità, in opposizione alla scuola dei vecchi filosofi, ancora sostenitori di quel pensiero post-moderno per cui non esiste la verità, se mai tante ed equipollenti verità.

Tutto il contrario del "raccontare storie" insomma.  Questa precisazione è quanto mai necessaria, perché nel mondo della comunicazione il termine storytelling tende ad essere abusato e travisato.

Fare storytelling significa cercare una storia e darle vita per incontrare un pubblico con l'appeal dell'onestà, della gentilezza, del pensiero laterale, della creatività, dell'impegno - in una giungla in cui il marketing tradizionale, aggressivo, dal linguaggio che è un grido di guerra (il pubblico come "target da colpire"), dalle iperboli e dalle false promesse ha perso credibilità e, soprattutto efficacia. Perché in una proliferazione di messaggi tutti simili, fare storytelling per un brand significa cercare la propria anima e, cercandola, costruirla. Magari, come fu nella versione biblica della creazione, nominando prima di tutto qualcosa perché prenda vita. Parlare di anima non è blasfemo - perché un brand cos'è, se non persone?

Lo storytelling è come una mappa medievale: la rappresentazione di un micro mondo dove convivono pacificamente il Mar Rosso e l'Eden, il Papa e gli sciapodi (esseri mitologici con una sola gamba), elefanti ed unicorni, ossia dati di realtà e creature fantastiche.

Oggi questa commistione esiste in ogni ambito della comunicazione, anche in quello che più di tutti si penserebbe ne fosse lontano, ad esempio il mondo dell’informazione. Dietro ad ogni immagine e testo c’è una costruzione della realtà da un preciso punto di vista. Basta pensare ai racconti geopolitici dell'ISIS, ad esempio. Per arrivare ad apici assurdi e divertenti, come il fenomeno del turismo finzionale (ad esempio, il binario 9 e 3/4 di King’s Cross a Londra osannato dai fan di Harry Potter) oppure il finto documentario sulla prova dell'esistenza delle sirene Mermaids – The body found, citato dal Direttore dell'Osservatorio Storytelling Andrea Fontana nello stesso convegno di cui sopra.

Eppure questo non deve scandalizzarci, quanto smaliziarci, cioè spingerci a interrogare le storie che ci vengono proposte, per indovinarne la regia e smontarne il costrutto narrativo.

Persino l’autobiografia, ambito a me molto caro, non è scevra dalla commistione di fatti realmente accaduti e fatti inventati. Pur perseguendo un ideale di verità, quando la memoria ritrova i ricordi, essa procede creativamente. I ricordi, infatti – come le neuroscienze hanno recentemente confermato – non sono mai uguali a se stessi, ma si trasformano nel tempo. E questo per quanto riguarda la prima fase dell’autobiografia (quella del dissodare il terreno della memoria), mentre nelle fasi successive, della sceneggiatura del racconto di vita, l’attività progettuale creativa è ancora più evidente.

Ma torniamo allo storytelling come nuova frontiera del marketing e quindi in relazione al brand. Per un brand costruire la propria storia significa confrontarsi con la propria identità, valori, etica, visioni. Cercare la propria storia è il primo passo che un'organizzazione possa fare per dare il meglio di sé. Quello successivo è dare vita ad una core-story, o storia-cardine, e amplificarla costruendo un immaginario, uno storyworlding necessario a rendere tangibile la storia stesso.

Presente la Misericordina di Papa Francesco? Un altro esempio ancora?

Il video Always #LikeAGirl - Girl Emojis prodotto da Always, marca di assorbenti, mostrato sempre al convegno dal direttore creativo Paolo Iabichino.

72% of girls feel that society limits them, by dictating what they should and shouldn't do. Sometimes, these limiting messages can be found in unexpected and subtle places - like on your phone. They may seem small, but emojis are more than just funny faces. They've become how girls express themselves in text and online.

Un video in cui il prodotto non si vede e non si nomina (se non nella schermata finale). Piuttosto si comunica una particolare sensibilità del brand verso un problema percepito dal pubblico di riferimento, cioè il fatto che le ragazzine non si sentono interpretate dal linguaggio stereotipato degli emoticons. Se una ragazzina vuole chattare ed esprimere con un emoticon che il weekend andrà a surfare, troverà l’icona del ragazzo sul surf, non della ragazza. Troverà in compenso molte icone di ragazze che si fanno lo smalto o danzano.

Un allargamento di prospettiva, un lavoro di ascolto del cliente/lettore, un approccio impegnato, un lavoro apprezzato dal pubblico con 18.857.303 di visualizzazioni.

Sul terreno dello storytelling, è sulla possibilità di toccare la sensibilità del pubblico, che il brand si gioca tutto.

Non solo perché è l'ultima strategia di comunicazione, non solo perché è qualcosa di più vicino al bespoke che alla mass production, ma anche e soprattutto perché porta il brand a interrogarsi su come contribuire alla costruzione del futuro con un messaggio originale e necessario.

Disegnare il futuro è opera d’immaginazione.

Ma tutto ciò che è diventato realtà non avrebbe potuto diventarlo, se qualcuno prima non lo avesse immaginato. E raccontato.

tags: storytelling, posverità, thenarrativeage
categories: Personal Storytelling, Storytelling
Friday 12.09.16
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Storia di una drammaturgia irregolare

A volte ci immaginiamo che i progetti nascano come ci insegnano a scuola. Nel caso di uno spettacolo teatrale, in sequenza la scrittura di un testo, la trasposizione scenica, la ricerca degli interpreti, il lavoro attoriale, le prove, la prima. Vi voglio raccontare una storia diversa, quella dello spettacolo LDM Labirinti del Male.

Era il 2012, Luciano Garofano, da generale inventore dei RIS italiani a scrittore esperto in materie forensi, aveva pubblicato da poco il suo libro Labirinti del Male e, da uomo vulcanico qual’è, aveva in mente di tirarne fuori una trasposizione in un medium che potesse portare le storie delle protagoniste del libro più vicino al pubblico. Fu così che fece incontrare lo scrittore Francesco Zarzana con Alessandro Molinari, regista e videomaker nonché mio socio di vita e lavoro. Si cominciò a lavorare all’idea di una messa in scena teatrale. Venne scelta come interpete Giorgia Ferrero, una giovane attrice che avrebbe partecipato poi a La Grande Bellezza di Sorrentino.

Io guardavo tutto da lontano: il mio secondogenito aveva pochi mesi ed io era assorbita completamente da lui e dal compito dell’allattamento, cui mi dedicavo come una missione. Avrei voluto partecipare in modo più diretto e concreto a quel progetto che toccava un tema urgentissimo della nostra società. Avrei voluto fare qualcosa di più di un generico sostegno morale, direzionando la mia creatività per un fine importante per la collettività.

Al di là del mio punto di vista, l’opera crebbe e sbocciò. Zarzana scrisse il testo e curò la regia e Molinari scrisse le musiche e girò con Giorgia Ferrero vari video clip che intervallavano l’azione scenica, che animava la prima parte dello spettacolo, seguita poi dalla conferenza multiemdiale tenuta da Garofano. Il lavoro debuttò il 5 maggio 2013 al Teatro Asioli di Correggio.

La sera stessa del debutto, però, successe un episodio sgradevole che creò una rottura nel gruppo di lavoro. Si cercò di rimediare per alcuni mesi, senza riuscire a trovare una soluzione. Naturalmente, sarebbe stato un peccato buttare via tutto. C’erano tanti pezzi che, nonstante tutto, restavano a galla, come dopo un naufragio: un’attrice senza più parte, vari videoclip con lei come protagonista, musiche coinvolgenti, gli interventi di Luciano Garofano su stalking, cyberbullismo, nuove tecnologie e sviluppi legislativi. E, soprattutto, c’era l’interesse della gente per un modo diverso di accostare questi temi - un modo più delicato e costruttivo rispetto al sensazionalismo televisivo.

Nel frattempo erano passati i mesi ed io avevo ripreso a lavorare. In quel periodo la cantautrice italo-americana Laura Trent chiedeva ad Alessandro di girare il videoclip del suo brano Emily – guarda caso la storia di una donna in pericolo, disperata, che grida aiuto perché non riesce a salvarsi da sola. La connessione fu presto fatta: l’interprete di quel video diventò Giorgia, protagonista di LDM e fece una comparsa pure Luciano Garofano.

Questa nuova riattivazione di energie attorno al progetto smarrito mi fece fare un passo: proposi di prendere in mano i vecchi pezzi naufragati con i nuovi. Volevo immaginare una storia che potesse tenerli tutti assieme, come una specie di isola deserta su cui approdare e convivere.

Studiai il materiale e la mia storia nacque così, all’incontrario, come un collante che andasse a riempire i vuoti, a creare dei passaggi tra un’immagine e l’altra, tra un caso di cronaca e l’altro, accompagnando lo spettatore dall’inizio alla fine con la storia di un uomo e di una donna come tanti, incapaci di far crescere amorevolemnte il loro rapporto.

Fu proprio quella la sfida: non limitarmi a scrivere un pezzo teatrale avulso dai tutti i precedenti, un brano a se stante che fungesse da preambolo o epilogo alla parte didattica. No, volevo sperimentare una drammaturgia nuova, in cui i vari media - presenza scenica attoriale, video, presenza scenica didattica, testo, musiche e naturalmente il video clip “Emily” – potessero amalgamarsi in un unicum che accompagnasse lo spettatore su temi via via diversi, ma sempre con un pathos vivo e acceso, attraverso un coinvolgimento emotivo dato non dalla spettacolarizzazione dell’evento sanguinoso, ma da tutto ciò che lo precede e che subdolamente porta la relazione a un inasprimento vicino alla disperazione.

La mia storia ha voluto soprattutto riflettere sul linguaggio, su quel linguaggio quotidiano e familiare che crediamo di parlare, ma che in realtà “ci parla”, “ci plasma”, impastandoci di mancanza di rispetto e ingiusto senso di possesso. Ho voluto anche portare in scena lui: troppo spesso viene mostrata la vittima, mentre l’aggressore rimane nel buio, nascosto, coperto dall’alibi della pazzia o della mostruosità. E’ importante invece cercare di capire chi è l’uomo che uccide e tracciarne un identikit, per imparare a riconoscerlo e a difendersi.

Così, in modo irregolare e imprevedibile, proprio com’è la storia delle storie, cioè la Vita, è nata la versione 2 di LDM che ha girato varie città d’Italia e che in questo prossimo 8 marzo approderà a Merate, nei pressi di Milano.

Uno spettacolo che ora già si prepara già alla versione 3 – quella di un Laboratorio di Educazione alla Relazione per le scuole, in cui saranno gli studenti a raccontare la violenza, anzi per esteso le violenze – a partire dal loro punto di vista e dalla loro esperienza. I ragazzi prenderanno in mano LDM per farne uno spettacolo dei ragazzi per i ragazzi. Ma questa è un’altra storia e ve ne parlerò in un post successivo!

tags: labirintidelmale, drammaturgia, storytelling, luciano garofano, giorgia ferrero, laura trent, alessandro molinari, giulietta kelly, elisa barbieri, rotary club, monica rivolta
Saturday 03.05.16
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