Qualche mese fa, grazie alla collaborazione con la direttrice creativa di Add NY Erin Bazos, Alessandro ed io abbiamo conosciuto personalmente Christo e il suo team di lavoro al The Floating Piers, l’opera d’arte che tra poco più di un mese sarà visitabile sul Lago d’Iseo, per rimanere esperibile dal pubblico gratuitamente per 15 giorni.
E’ stata un’occasione incredibile, perché fino a quel momento anche io, come molti, quasi non credevo che Chisto esistesse veramente. Certamente conoscevo la sua fama planetaria di grande artista, ma appunto perché le sue opere hanno da decenni conquistato un tale posto privilegiato nell’immaginario collettivo globale, pensavo inconsciamente che il personaggio dietro le inconfondibili icone fosse una specie di leggenda, ossia avesse perso la sua tridimensionalità per smaterializzarsi nell’olimpo dei miti, facilitato all’ingresso da un nome assolutamente in tono.
E invece, non solo Christo esiste per davvero, ma ho persino avuto modo di conoscerlo, parlargli e scoprire la sua propensione pedagogica, motivo per cui mi sono industriata perché tenesse una lezione a NABA, l’accademia milanese di belle arti con cui mi capita di collaborare.
Così Christo, nella sua immancabile sahariana, qualche giorno fa è venuto a Milano a fare una lezione ad un folto pubblico di giovani aspiranti artisti, con tutta la sua incredibile energia di 81enne entusiasta e provocatorio, talmente preso dalla passione per il suo lavoro da non concedersi mai una sosta. Non a caso è stato in piedi tutto il tempo e ha dichiarato di non possedere nemmeno una sedia nel suo ufficio di Manhattan. Pensa spostandosi, disegna camminando. Salvo poi fissare successivamente tutto su carta, odiando il computer.
Christo quindi non solo esiste per davvero, ma per davvero sposta grandi numeri in questo mondo – quintali di materiali, cifre di denaro a molti zeri, migliaia di tecnici, governanti, operai, centinaia di migliaia di visitatori.
E per numeri l’artista ha presentato lo showreel delle sue opere, dal 1960 al Floating Piers di oggi. Ogni opera, una lista di dati stupefacenti. Stupefacente la mole delle opere, il loro costo, la lunghezza del processo, che ha richiesto in molti casi oltre 20 anni dal primo schizzo alla realizzazione (numerosi persino i progetti non realizzati, circa 20).
Un esempio su tutti: per The Gates a Central Park NY l’artista – o meglio la coppia di artisti, perché Christo ha fin dagli inizi lavorato in strettissima sinergia con la compagna Jeanne-Claude mancata nel 2009 – ha ingaggiato 900 operai per installare su un percorso di 37 km 7.503 cancelli alti 4,87 metri e larghi da 1,68 a 5,48 metri, senza fare buchi nel terreno, ma fissandoli su 15.006 basi di metallo dal peso variabile tra i 270 e i 380 chili, per un quantitativo totale di acciaio pari a 2/3 di quello utilizzato per costruire la Tour Eiffel.
Un approccio quantitativo sorprendente per noi vecchi europei, avvezzi a un’idea romantica o quantomeno concettuale dell’arte.
La durata di The Gates – similmente ad altri progetti – fu inversamente proporzionale all’imponenza dell’opera: solo 16 giorni.
Un controsenso?
Ecco che qui, finita la carrellata del portfolio e iniziata la parte delle domande, messa da parte quella che lui stesso chiama la sua parte capitalista di marxista bulgaro fuggito, Christo tira fuori, senza cambiare la sua verve secca ed ironica, il pensiero sotteso alla qualità nomade che caratterizza il suo lavoro fin dagli esordi.
Cioè: no, la breve durata delle opere non sono in contraddizione con il lavoro di anni che le precede, perché Panta Rei, tutto è flusso. Christo e Jeanne-Claude si definiscono “nomadi dell’arte”. Così come si è passeggeri della vita. E’ quindi piuttosto il costruire qualcosa con l’idea di permanenza che si rivela essere un’illusione, mentre al contrario costruire qualcosa di dichiaratamente temporaneo è realistico e allo stesso tempo poetico, perché rende possibile cogliere l’attimo fuggente. I visitatori che avranno la fortuna di vedere l’opera sapranno di avere preso parte a qualcosa di eccezionale e irripetibile.
Nessun progetto di Christo verrà mai replicato, una volta realizzato. Certo, l’idea prima di essere concretizzata è trasferibile geograficamente, come nel caso di The Floating Piers, la cui prima localizzazione doveva essere sul delta del Rio de la Plata in Argentina e poi nella baia di Tokyo (in entrambi i casi il progetto non fu mai autorizzato). Per qualche misteriosa ragione, invece, i tempi per il progetto italiano sono stati fulminei: nel 2014 la scelta dell’artista di questo lago caratterizzato dall’affascinante presenza di Monte Isola e nell’estate del 2016 la realizzazione. Come ha detto lui stesso in conferenza, i sindaci dei paesi coinvolti hanno impiegato si e no mezzora per sentenziare il loro “approvato”!
Ma c’è un altro aspetto molto interessante della filosofia di Christo: l’opera d’arte non è quella che vedremo al lago di Iseo o che avremmo potuto vedere a Berlino con il suo Reichstag impacchettato. No, quello è solo l’effetto spettacolare dell’opera, la punta dell’iceberg di un lavoro preparatorio – studio, ingegnerizzazione, prototipazione, testing, approvazione, messa in sicurezza e in regola - che è esso stesso parte viva dell’opera, così come è arte integrante le fotografie dei progetti, motivo per cui fa parte del team stabile di Christo il fotografo Wolfgang Volz.
Con una consapevolezza comunicativa ante-litteram – poiché oggi sappiamo quanto gli allestimenti vengano progettati non tanto in funzione dell’evento live, quanto in base alla loro fotogenia che li immortala nei pixel della rete - Christo progetta l’opera fin dagli albori pensando all’inquadratura, al contrasto cromatico, alla forza dell’impatto dell’immagine creata dalla sua mano sulla natura.
L’opera è il viaggio, dice Christo, non la meta. Così si motiva la sua energia vibrante e accesa, di artista che non teme le sfide impossibili, che pensa in grande, fino a provocare gli ambientalisti con progetti che dominano la natura e addirittura a stravolgere le logiche del business, arrivando ad autofinanziare le proprie opere, grazie a un complesso sistema societario, in modo da garantirsi autonomia e libertà.
Una lezione non solo di arte, ma di vita, per gli studenti di NABA, che hanno affollato l’Aula Magna in una giornata uggiosa, rischiarata solo dai colori solari delle passerelle sui laghi, delle bandiere nei parchi, degli ombrelloni nei deserti, frutto della vivida immaginazione di un anziano signore dall’invidiabile giovinezza.
Tanto che una studentessa dell’architetto Germana De Michelis, docente di Urban Design a NABA (per leggere il suo post sulla lecture clicca qui), ha commentato così “Christo ha quasi 81 anni e io quasi 21…ieri sera nel godermi il suo entusiasmo mi sono sentita vecchia e ho capito che devo alimentare ogni giorno la mia passione per sperare di ringiovanire nei prossimi 60 anni!”